PRIMAVERA DEI TEATRI, risveglio dell’anima
di Laura Massacra
Al via i lavori per la XXV edizione di PRIMAVERA DEI TEATRI, la rassegna sui nuovi linguaggi teatrali nella scena nazionale e internazionale contemporanea di cui si è appena conclusa la XXIV edizione.
Si è da poco conclusa in Calabria, a Castrovillari (Cs) la XXIV edizione di Primavera dei Teatri, manifestazione di performing arts, danza e teatro sperimentali che ha portato in scena ben 60 spettacoli e 41 compagnie teatrali, un florilegio di prime nazionali e internazionali, per un totale di 11 giorni di spettacoli.
Lo storico comitato direttivo è formato da Saverio La Ruina, fuoriclasse nel panorama teatrale italiano, più volte premio UBU per i suoi monologhi di rottura, da Dario De Luca, attore, regista e scrittore, da Settimio Pisano, Direttore Generale e artistico e da Tiziana Covello, comitato che da 24 stagioni porta avanti una dura selezione tra più di 250 proposte in arrivo, italiane e straniere, confrontandosi con le realtà più sperimentali, d’avanguardia e, potremmo osare dire “borderline”, sulla scena contemporanea, per trasformare, ogni anno, la manifestazione calabrese in un’offerta che esuli dagli angusti confini del già visto e immergere lo spettatore in lavori visionari che guardino al futuro dei linguaggi dell’arte, della parola, della vita.
Circa il novanta per cento degli spettacoli consta di prime nazionali e internazionali, una scelta dettata dalla crescente affermazione di Primavera che funge anche da catalizzatore per organizzatori e agenti provenienti da tutta Europa venuti in Calabria per selezionare i prodotti da rilanciare sulle piazze italiane e straniere nella stagione teatrale successiva. Un incessante ricerca di qualità che ha trasformato negli anni il festival in una imponente macchina da guerra: “lavoriamo un anno intero per garantire un’offerta che sia quanto più innovativa possibile, dato il grande successo riscosso – ci spiega Dario De Luca – Infatti, nonostante i giorni di proposte siano stati 5 in più della media annuale, abbiamo avuto sold out per quasi tutti gli spettacoli”.
Il lavoro, oltre che di selezione tra le centinaia di proposte in arrivo, in questa stagione è consistito in una tessitura di rapporti con le istituzioni internazionali internazionali, prima tra tutte la Fondazione Onassis, grazie a cui Primavera ha guadagnato la presenza di Chara Kotsali ed Elena Antoniou, perle del teatro danza sulla scena mondiale contemporanea.
La Antoniou, con il suo Landscape, ha rappresentato l’oggettificazione del corpo attraverso la sua ipersessualizzazione. Durante la performance, lo sguardo di ogni osservatore e, rispettivamente, la prossimità o distanza con cui decide di osservare Elena Antoniou, diventa parte sostanziale della messa in scena. L’artista si offre senza remore, disposta a rivelare la propria esperienza personale come se fosse un paesaggio collettivo. Con provocatoria determinazione trasforma il corpo in una dimensione politica che abita le dinamiche di relazione col pubblico oltre che quelle dello spazio collettivo.
Dopo i primi tre giorni di dura sperimentazione imperniata sul teatro danza insieme a performer di calibro internazionale come Maria Hassabi, Elena Antoniou, Dalila Belaza e Chara Kotsali, la Primavera ha puntato su proposte di ampio genere, percorrendo un ipotetico asse concettuale che, a partire da narrazioni distopiche, discendesse nel profondo fino a scandagliare temi sociali, politici, esistenziali.
Espressione cardine di questa cifra poetica è Pinocchio – Che cos’è una persona, di Davide Iodice (in scena il 30 maggio). Nello spettacolo, il lavoro di ridefinizione delle identità avviene utilizzando la figura del grande personaggio collodiano, attraversato da un simbolismo che incarna tutte le caratteristiche di un’adolescenza incompressibile e incompresa e nel cui tormento si rispecchia una società di adulti altrettanto vulnerabili. Sul palco una ventina di persone, tra cui ragazzi affetti da sindrome di Williams, di Down o di autismo che, insieme ai loro accompagnatori, mettono in scena quelle strambe e strabiche regole non scritte per cui l’altro, il “diverso” diviene vittima di un trattamento favolistico da parte della società la quale, in ultima istanza, finisce per schiacciarlo contro il muro di una narrazione intrisa di inautenticità. Una poesia dalla prima all’ultima scena, quella di Davide Iodice e della Scuola Elementare del teatro, perché sotterraneamente imprime una saldatura inedita tra l’inconscio originario, quello della fruizione del Pinocchio nella prima infanzia, e una riflessione su chi sono i pinocchi di oggi ovvero: noi tutti, se intesi sotto l’ottica di una decostruzione della nozione di persona che punti dritta al cuore delle nostre vulnerabilità. Veniva il desiderio, vedendo la loro interpretazione, di abbracciare uno a uno questi attori eroici che hanno regalato agli spettatori una immersione onirica nel loro difficile sogno.
Tra gli spettacoli in scena il 29 maggio è spiccato invece quello di Tindaro Granata, talento pieno di grazia, corpo e voce di rara e dolcissima potenza. Granata, per voce di Mina, racconta quello che accade quando si smette di sognare, narra di donne e di amori, anche di quelli che fanno male. Ma più di tutto, dritto allo stomaco narra una verità: si salva solo chi sa amare, o ascoltare, che poi è la stessa cosa. Non è facile cantare in playback: ci vuole orecchio, cuore e immaginazione a quintali. Scandaloso come solo la nudità dell’anima può esserlo, la potenza espressiva di Tindaro riflette anche sulla magia del teatro e sui suoi sempiterni poteri taumaturgici.
Dal distopico allo storico politico, passando per le storie individuali, tra le proposte del 28 maggio si è distinto Mare di ruggine – La favola dell’Ilva, di Antimo Casertano, un racconto famigliare lungo cinque generazioni, che viaggia in parallelo con le vicende dello stabilimento e che, tuttavia, fonde lo sguardo famigliare con il racconto collettivo delle tante collettività per cui la fabbrica ha rappresentato l’unica alternativa, a Napoli prima, a Taranto dopo. Mare di ruggine è impegno civile e morale che vuole far luce sulla vicenda dell’Italsider, da troppi anni tumulata sotto le rovine di un immemore presente.
Nel solco della medesima cifra dell’impegno civile, il 27 maggio assistiamo a Necropolis, di Arkadi Zaides, coreografo indipendente nato in Bielorussia, poi trasferitosi in Israele e successivamente stabilitosi in Francia. Attraverso l’utilizzo di geo-localizzatori satellitari, l’autore scandaglia le nuove necropoli dove sono seppellite le centinaia di migliaia di migranti che non sono riusciti a raggiungere la propria destinazione finale in Europa, fino poi a mappare una intera città invisibile, ovvero un’immensa necropoli “diffusa” che silenziosamente racconta una storia europea alternativa poiché intessuta del dramma delle vittime dei flussi migratori.
Il 31 maggio, invece, Dario De Luca travolge gli spettatori con una vertigine linguistica: I 4 desideri di Santu Martinu – Favolazzo osceno adatto per essere recitato dopo i pasti. L’autore utilizza una fiaba dalla struttura drammaturgica classica, quella del genio della lampada che regala desideri i quali, poi vengono dissipati, a causa di inezie e dispetti, per calarla nella relazione tra un pecoraio calabrese e sua moglie. Con una originalissima cifra stilistica, il lavoro, scritto, diretto e interpretato da De Luca, esprime una conoscenza strabiliante quanto esilarante del dialetto calabrese, frutto di una mirabile e decennale ricerca linguistica. Una favola, si, ma “culicaxx” in cui la sua potenza attoriale ed espressiva è riuscita a raggiungere anche quanti, in un pubblico misto di locals, stranieri e settentrionali, potevano capire poco del vernacolo locale.
Il Primo giugno, invece, Lorenzo Guerrieri e Maria Anolfo per la compagnia Bruttipensieri, con Zitto Peter! hanno messo in scena l’amoralità della famiglia, le sue intime e nevrotiche perversioni, come pure il crollo verticale della coppia in una dissacrante rappresentazione dell’educazione dei figli, marchiati indelebilmente dall’artiglio oppressivo e paranoico del sistema famigliare. Una sitcom psichedelica sulla necessità di abolire tout court la genitorialità e, in ultima istanza, una scorrettissima e provocatoria dichiarazione di guerra alla famiglia italiana.
Nel programma delle 19.30 della serata finale del 2 giugno, invece, la Primavera dei teatri ha dato rilevanza alla centralità dell’interpretazione attoriale. Marco Sgrosso, autore e attore dalla straordinaria potenza espressiva, ha magistralmente interpretato A colpi d’ascia – Un’irritazione, famoso testo del drammaturgo e scrittore Thomas Bernhard che scandaglia perfidie e ipocrisie dell’ambiente artistico e alto-borghese della sua amata e, al contempo odiata, Vienna del XX secolo.
A conclusione degli undici giorni di teatro, spettacoli convegni, presentazioni di libri, aperitivi e musica, gran finale in note col musicista Sasà Calabrese nel suggestivo chiostro del proto Convento francescano del XIII secolo, immerso in quella dimensione corale che ha connotato l’intero spirito della manifestazione.
A fronte di questa monumentale, immaginifica e visionaria offerta artistica multistrand, varrebbe la pena scandagliare le cause virtuose della costruzione di una rassegna based on local territory, che anno dopo anno ha saputo acquisire fama a livello europeo, complice la straordinaria dedizione e competenza artistica degli organizzatori. Di converso, occorrerebbe interrogarsi, con una seria riflessione, sulle ragioni che spesso portano le varie rassegne delle capitali italiane a basare gran parte delle programmazioni dei propri festival, sebbene con le dovute eccezioni, su volti e titoli noti del teatro, del cinema e della televisione. Vent’anni di rassegna locale hanno insegnato che la fidelizzazione del pubblico passa attraverso un brand il quale, di per sé, rassicura il pubblico sulla qualità delle proposte.