L’esercizio dell’intelligenza critica è un’abitudine che fa bene sia in tempo di guerra che di (relativa) pace, ed è importante soprattutto in un’epoca in cui la facilità che i social sembrano garantire a tutti nell’esprimere opinioni rischia a volte di far diventare le parole armi improprie. Tutti contro tutti, tanto le parole sembrano munizione gratuite: il costo è in termini di deriva simulacrale di rappresentazione della realtà e di aumento incontrollabile dell’intolleranza. Questo saggio della studiosa belga Anne Morelli, docente presso l’Université Libre de Bruxelles, è ormai un classico. Tradotto in molte lingue, viene ora riproposto in edizione aggiornata da FUTURA EDITRICE. Il sottotitolo indica che questi “principi elementari della propaganda di guerra” sono “utilizzabili in caso di guerra fredda, calda o tiepida”, ovvero in tutte le forme, anche striscianti, che la guerra moderna assume. Ci sono anche analisi interessanti e lucide sul ruolo degli intellettuali e del mondo della cultura nei contesti di guerra. Nella sua prefazione alla nuova edizione, l’autrice conclude dicendo che “unica possibilità che ci rimane è quella di dubitare prima di agire. In fondo, la finalità di questo libro potrebbe essere tutta qui: aiutarci ad acquisire una sana abitudine al dubbio sistematico”. Una sorta di elogio del dubbio, propedeutico ad ogni ricerca autentica di verità.
È un’analisi che copre tutto l’arco del Novecento, dalla Prima Guerra Mondiale in poi, arrivando fino alle guerre disseminate e simultanee degli ultimi anni. La studiosa cita il grande Anatole France (scrittore di grande impegno sociale, Premio Nobel per la Letteratura nel 1921), il quale usava dire che «la guerra è meno condannabile per tutte le macerie che fa, che per l’ignoranza e la stupidità che l’accompagnano». Naturalmente si tratta di una boutade, dal momento che le macerie sono tragicamente importanti, ma rende bene l’idea. Gli esempi arrivano fino ai tempi più recenti: la studiosa ricorda come ad esempio l’attrice statunitense Susan Sarandon, per aver sostenuto la causa dei palestinesi, è stata esclusa dall’agenzia di artisti Uta (United talent agency). Secondo l’analisi dell’autrice, l’apporto di giornalisti, scrittori e intellettuali è fondamentale per la creazione del consenso, dal momento che «la propaganda, come tutte le forme di pubblicità, si basa sull’emozione».
Anne Morelli, figlia di emigranti italiani in Belgio – e dunque con lo sguardo lucido di chi condivide più di una cultura- ha pubblicato, prima di questo notevole saggio, altri numerosi studi, alcuni scaturiti da una ricerca storica sugli emigrati italiani che parteciparono alla lotta contri i nazisti che occupavano il Belgio. E non dimentica di sottolineare che i “Resistenti” erano definiti “terroristi” dalla propaganda politica e mediatica. L’autrice rileva come sia «pericoloso, in tempo di guerra non condividere le scelte del proprio Paese, far mostra di non credere alla sua propaganda».
Principi elementari della propaganda di guerra è ormai un classico e come tutti i classici non invecchia, perché delinea orizzonti di senso utili e “utilizzabili in caso di guerra fredda, calda o tiepida”, ovvero in tutte le forme, anche striscianti, che la guerra moderna assume.