FRANCESCA DEL MORO “L.” Gattomerlino, 2024
Nota di Marco Colletti

Mi sono trovato recentemente a presentare alcune raccolte che affrontano lo stesso tema, ma da punti di vista differenti. Ad essere differente è il ruolo e l’identità dell’io poetico. Ma tutte convergono sull’idea o l’atto della morte, voluta o solo sospirata. Parlo del presagio della morte di cui è intrisa la poesia di Gabriele Galloni e soprattutto di Scisma, ed. Les Flâneurs, 2024, di Ilaria Palomba, in cui appunto, in forma specchiata rispetto alle due raccolte di Francesca Del Moro su questo tema, Ex Madre, ed. Arcipelago Itaca, 2022, e L., ed. gattomerlino, 2024, è il suicida stesso che parla del suo suicido. In entrambi i casi, la raccolta di Ilaria e quella di Francesca, parla chi resta, il sopravvissuto al proprio atto o all’atto dell’altro. Non può non sovvenirmi il trittico di Boccioni, gli Stati d’animo: Gli addii, Quelli che vanno e Quelli che restano. La novità, l’intuizione di Boccioni fu proprio quella di non voler raffigurare né qualcosa né qualcuno, nemmeno una dimensione onirica come facevano i surrealisti e ancor meno l’antirealtà dei simbolisti. Comune è l’influenza di Bergson, ma Boccioni decide di raffigurare direttamente lo stato d’animo. Ecco allora che, prendendo come spunto una stazione di treni e i suoi protagonisti, cioè i viaggiatori, quelli che restano o meglio lo stato d’animo di quelli che restano è reso attraverso quelle linee dinamiche che saranno le colonne portanti del Futurismo e che qui diventano linee verticali che squarciano l’integrità di figure stilizzate, come le sbarre di un carcere, che divide il dentro dal fuori, ma che divide anche ogni singolo animo, le smembra in un colore gelido che contiene il grigio del fumo della stazione, il grigio che appanna i colori e che non raffigura, ma diventa, è ciò che si allontana da noi, ciò che chi resta sta per perdere o ha perduto. E queste figure che non se ne sono andate, non sono più neanche lì: «Non sono qui/e non me ne sono mai andata. Sto nell’invisibile linea di confine». Questo verso mi ricollega a due cose. Una esterna alla raccolta e cioè la recente raccolta di Olivia Balzar Là dove finisce il mondo, ed. Ensemble, 2024, una raccolta in cui l’io si pone sul limitare dell’esistente, quella linea di confine appunto che ci separa non dal vuoto, ma dal Nulla. Ora, non possono non sovvenirmi due opere precedenti di Francesca Del Moro, Sovraliminale, Edizioni Progetto Cultura, 2023, che al pari de Gli obbedienti, Cicorivolta Edizioni, 2016, indaga una condizione esistenziale sempre sulla soglia: il mondo del lavoro, il capitalismo, il conseguente consumismo pone ogni uomo su un ciglio, sradica l’uomo da quella che dovrebbe essere la sua identità e lo pone nella transitorietà, lo smembra, esattamente come quelli che restano del quadro di Boccioni. La nostra è dunque un’umanità che è costretta a restare, dilaniata nell’incertezza. Torno un attimo alla raccolta di Olivia Balzar per introdurre un secondo, ma conseguente tema. In questa raccolta è presente il mare e sono presenti le stelle. Citerò le stelle, perché le stesse stelle aprono la raccolta di Francesca. Olivia dice: «A San Lorenzo la notte/ si illumina di promesse./ Il cielo piange/ le lacrime di Dio». Francesca non dà un nome a quella notte e dice: «Sera d’agosto/ogni stella che cade/porta il suo nome». C’è già in questi versi tutta l’indicibilità in cui è crocifissa questa raccolta, nel paradosso per cui tutto l’indicibile viene comunque detto. In questo senso mi viene da fare un parallelo tra Ex Madre e L. con l’evoluzione del concetto di inconscio tra Freud e Lacan: Ex Madre è la parola dell’inconscio freudiano, il viscerale che prende la parola, ma non ne gode, è il dolore cieco più recondito dell’animo. L. è il parlêtre, cioè il soggetto parlante che recupera il godimento del significante e del corpo insieme. C’è in questo libro un passaggio fondamentale rispetto al precedente su questo tema ed è ben espresso nella postfazione di Visentin: «La voce, monologante in Ex Madre, prova ora a dialogare con l’assente. E dove tale dialogo non è fisicamente possibile, il verso trascende e si fa visione onirica». La parola è ovunque: «La parola sua e la parola di lui:/Ricordo il sogno del primo gennaio il sogno/ ripetuto fino a luglio/ e lui che spaventato lo spiegava./ Il dolore si preparava./ La perdita iniziava dalla bocca», si fa urlo (cosa c’è di più corporeo dell’urlo?): «Ovunque fosse il mio urlo lo avrebbe raggiunto», si fa racconto: «poi mi domandava/ di raccontare la mia giornata», condivisione: «Le ho passato un po’/ del mio terrore, lo faccio/ sempre volentieri, ne passo/ un pochino a tutti, giusto/ un pezzetto, che nessuno/ se lo merita intero», e infine ascolto: «Camminiamo/ e io sento il suo passo/ fatto d’aria, tra le nostre/ parole la sua voce/ il suo viso/ in un abbaglio/ di sole». In questa soglia l’io parla dall’una e dall’altra parte, come un interprete, come un medium: «Ora abito la soglia imparo la lingua/ dei vivi e dei morti/ l’esatta traduzione». La parola, che si traduce in scrittura e dunque amplifica quella dimensione di corporeità e godimento di cui parlavamo, è l’ancora che tiene collegata vita e morte. In Scisma di Ilaria Palomba il silenzio, la parola che si tace, l’allontanamento dalla scrittura segna il varco verso l’accettazione della realtà. Perché mentre si scrive, la realtà non la si vive. Francesca apre il suo libro con stelle di cui non pronuncia il nome e lo chiude con il proposito di svincolarsi da questo tabù che la protegge, verso il mondo e attra-verso gli altri: «Quando smetterò di scriverne/ tutto questo diventerà/ irrimediabilmente reale».

Francesca Del Moro (1971), vive a Bologna e ha pubblicato diversi libri di poesia tra cui Fuori Tempo (Giraldi 2005), Non a sua immagine (Girali, 2007), Una piccolissima morte (edizioni folli 2017, ripubblicato nel 2018 come ebook nella collana Versante Ripido / La Recherche) e La statura della palma. Ha curato e tradotto numerosi volumi di saggistica e narrativa ed è autrice di una traduzione isometrica delle Fleurs du Mal di Charles Baudelaire, pubblicata da Le Cáriti nel 2010. Dal 2007 organizza eventi in collaborazione con varie realtà bolognesi e fa parte del comitato organizzativo del festival multidisciplinare Bologna in Lettere. E’ stata in concorso con Ex madre (Arcipelago Itaca) al Premio Strega Poesia 2023