La poesia di Gian Piero Stefanoni conferma anche in questa nuova raccolta alcuni tratti ben definiti che hanno segnato un percorso tematico e stilistico coerente e rigoroso, sin dall’esordio nel 1999 con In suo corpo vivo, a cui sono seguiti, oltre ad alcuni in digitale, altri libri tra i quali ricordiamo Roma delle distanze nel 2011 e Luna Majella nel 2019.
Il titolo dell’attuale La costanza del cielo è affermazione decisa e messaggio molto evocativo con cui l’autore vuole sottolineare la costanza di esserci e pronunciarsi di fronte al mondo, dunque un imperativo di vita come egli stesso dichiara in una bella intervista, dove esserci è presenza nella vita e nella poesia, in quanto vita e poesia sono connesse.
La costanza del cielo é anche certamente quella religiosa, spirituale, la fede dunque, anche nella Poesia poiché anche la Poesia è una Fede, ed è anche Fede nel mondo, nonostante le derive e le cadute della contemporaneità che non ostacolano l’imperativo vitale dell’autore, per cui si potrebbe dire che il coraggio di vivere si sovrappone al male di vivere di cui Stefanoni ha comunque consapevolezza, ma a cui non cede, proponendo un libro di speranza e di rinascita, attraverso un cammino comune, un rinnovato umanesimo dove anche dalla terra devastata e malata può nascere nuovo germoglio.
Tutto questo è contenuto, condensato ed espresso tramite la parola poetica ritenuta dall’autore parola grata : immagine molto bella, densa di amore e reciprocità, dove lo stupore è al centro di questo canto al cielo ispirato e finalizzato tuttavia anche ad una riflessione che guarda al sociale, all’incontro con l’altro poiché soli non siamo nulla, soli non ci salviamo come ci ricorda Gian Piero nella sua introduzione nonché dichiarazione di poetica, sottolineando inoltre l’aspetto etico e civile della propria poesia.
Il libro consiste in due parti che forse più che sezioni possiamo considerare momenti d’essere o tappe di un cammino, e di un’Appendice, composta di appena due testi, forse una sorta di “ponte” tra la prima e la seconda parte.
La prima parte L’ODORE DEL CAMPO si apre con un esergo in omaggio a Mahmud Darwish, poeta palestinese tra i maggiori poeti di lingua araba, un poeta che evoca spesso l’esilio, la perdita delle origini, della terra amata e che considera la poesia come patria, poiché Non siamo noi a raccontare adesso; noi adesso, siamo raccontati, un verso che Gian Piero fa suo come racconto di un tempo che procede per cancellazioni e negazioni, quando non per conflitti… ed è anche un riferimento a quella politica del gesto di cui Gian Piero parla sempre nella dichiarazione di poetica introduttiva.
La prima poesia SI SPALANCA è un campodi rovina, di assenza, un’altra domenica/a sguardo scosso, dunque una condizione di dolore diffuso, mentre l’ultimo testo E’TERMINATO IL BUIO ricompone una possibilità di luce…
L’APPENDICE formata da appena due testi seguita da una parte che ripropone il titolo LA COSTANZA DEL CIELO e contiene anche la poesia eponima di cui cito solo il verso finale :sul ramo la costanza del cielo che non cede rende bene la continuità e la coerenza di contenuto del libro.
Un libro forse più complesso rispetto ai precedenti per una sottesa polisemia, una varietà di significati, nel senso che i testi possono essere un dialogo tra il poeta, l’uomo, Dio e quindi tra poesia, fede e umanità smarrita; dove la terra ha la sua parte, quasi protagonista e viene infatti nominata molte volte, quale luogo di accadimenti e anche visioni. Questa terra potrebbe essere anche luogo reale da percorrere con riferimenti a drammatiche migrazioni attuali o a un simbolico percorso dell’Uomo e alla sua Storia. O ancora con richiami a racconti biblici, come ad esempio LA PORTA STRETTA, ripresa dal Vangelo, da attraversare per entrare nella casa dove il Signore ciaccoglie: una metafora del nostro essere viandanti attraverso sacrifici, è una porta stretta ma sempre spalancata che conduce alla vita…
Oltre all’esergo in omaggio al poeta palestinese Darwisch vi sono anche altri omaggi, o dediche, a poeti e autori che hanno inciso nella formazione e nel percorso poetico di Stefanoni. Così, tra i versi, strutturati in poche strofe, due, tre al massimo, con a volte un verso finale più incisivo e definitivo, tra questi versi scarni, molto levigati ed essenziali, polisemici e polimetrici come alcuni commentatori hanno definito, troviamo un richiamo ad Auden, a Transtromer, ma in generale nella poesia di Stefanoni ci sono anche echi di altri autori e relative consonanze con poeti che hanno in qualche modo influenzato le sue scelte poetiche: ad es. Padre Turoldo, Biagio Marin, Ghiannis Ritsos (in tal caso per quella fede nella poesia, oltre che politica, che lo stesso Ritsos ha sempre comunicato : Scrivo un verso, scrivo il mondo… che può ben collegarsi a quanto dichiara il nostro autore il quale vede nel canto della poesia la vera lingua e il vero luogo del mondo).
Su tutti, va detto, domina il “vola alta parola” di Mario Luzi, quasi un mantra invisibile che avvolge questa poesia/salmo, preghiera, ma anche grido sorvegliato di ribellione alla discesa nel buio dell’umanità. Una poesia che ha fede in se stessa, nell’uomo e nella sua rinascita, un’arca di Noè resistente ad ogni diluvio. Nella prospettiva costante della resistenza si dichiara con fermezza il dettato etico e poetico dell’autore in questi versi emblematici e speculari:
E’ la politica del gesto/ che fa il frammento, il mondo/che si percepisce al suo passo, /l’ordine della poesia nella preghiera./…la memoria del versetto nell’unione delle dita.//
Gian Piero Stefanoni, nato a Roma nel 1967 dove si è laureato in Lettere moderne, ha esordito nel 1999 con In suo corpo vivo (Arlem edizioni) a cui tra cartaceo ed ebook sono seguiti una decina di titoli. Suoi testi oltre che essere stati pubblicati in antologie e riviste del settore sono stati tradotti e pubblicati in Francia, Spagna, Malta, Grecia, Cile, Venezuela, Argentina oltre che in diversi dialetti e lingue minoritarie d’Italia.