Laura Marzi Raccontare la cura. Letteratura e realtà a confronto (Futura 2024)
Nelle società cosiddette avanzate, l’invecchiamento inarrestabile della popolazione e la scarsità degli asili nido per quei pochi che hanno ancora figli, ha fatto sì che il lavoro più diffuso e insieme quello più invisibile sia diventato il cosiddetto “lavoro di cura”, quello svolto da badanti, baby-sitter e inservienti di case di riposo. Si tratta di un lavoro che vede impegnate soprattutto «donne, povere e immigrate», un moltiplicarsi esponenziale di condizioni di marginalità. Da una parte ci sono dunque donne appartenenti a classi sociali subalterne che si occupano della sopravvivenza di soggetti privilegiati, e dall’altra quella che l’autrice definisce come «indifferenza dei privilegiati», indifferenza che «nasconde il bisogno stringente del lavoro di cura in Occidente, dove è fondamentale per chi ne beneficia».
Il libro origina da una ricerca di dottorato svolta dall’autrice in un’Università in Francia. Si tratta di uno studio interdisciplinare tra letterature comparate, filosofia, sociologia, linguistica, il tutto in una cornice teorica che è quella degli studi di genere, dell’approccio femminista. Un approccio peculiare, valorizzato dalla pubblicazione nella Collana “SessismoRazzismo” delle edizioni FUTURA, coordinate da un Comitato di cui fanno parte Igiaba Scego, Lea Melandri e altre autrici che hanno una forte impronta femminista e di attenzione alle culture non egemoni. Una ricerca complessa, quindi, che cerca di tenere insieme istanze di critica sociologica, sociologia del lavoro, storia delle migrazioni, il tutto però da un osservatorio particolare, che è quello della «rappresentazione letteraria della cura» .
In tal modo, il volume si sviluppa con accenti e richiami bibliografici di taglio sociologico, oltre che filosofico, ma che vengono immessi in una narrazione affascinante, che fa entrare i lettori dentro lo spazio insieme immaginario e verosimile del testo letterario, da cui si diramano riflessioni sulla realtà quotidiana del lavoro di cura. L’autrice parte dalla convinzione che «i romanzieri e gli autori sociologici in definitiva esplorano lo stesso terreno: la vasta esperienza umana dell’essere nel mondo». Il rapporto letteratura-società è stato lungamente esplorato nel tempo, da molte teorie di sociologia della letteratura, che coprono l’infinita e variegata gamma che va dalla assoluta “costrizione” della produzione letteraria in categorie sociologiche (le classi sociali, l’economia, i fatti storici) fino alla teorizzazione dell’assoluta alterità dell’immaginazione letteraria rispetto a tutto ciò che non è letterario. Nel mezzo, come sempre, ci si avvicina se non alla verità quantomeno alla verosimiglianza.
Secondo l’autrice, «la letteratura si rivela essere uno strumento particolarmente adeguato per l’analisi dell’etica e delle pratiche di cura». Il testo letterario da lei scelto come prototipo e paradigma è Slow Man di John M. Coetzee, autore sudafricano ma naturalizzato in Australia. È stato il primo romanzo pubblicato da Coetzee – nel 2005 – dopo aver vinto il Premio Nobel per la letteratura nel 2003. Il protagonista del romanzo è un uomo di mezza età, che perde una gamba dopo essere stato investito da una macchina mentre andava in bicicletta. Diventa solitario e si ritira nel suo appartamento, dove viene curato da infermiere di cui non è soddisfatto, fino a che non arriva Marijana, immigrata dalla Croazia con marito e figlio. La fabula del libro è complessa, e implica anche l’irruzione sulla scena del personaggio di un’anziana scrittrice – creata da Coetzee in un libro precedente – che diventa una sorta di giudice e dea-ex-machina di tutta la situazione intricata di lavoro di cura, quotidianità, sentimenti, percezione da maschio bianco privilegiato di una donna immigrata, e così via. A parlare, nel romanzo, sono Paul, il protagonista, ed Elisabeth, l’anziana scrittrice da lui inventata, in un gioco metaletterario complesso. Marijana, la badante croata, non parla mai. L’autrice riporta una nota di una critica sull’opera di Coetzee, che evidenzia come nelle opere dell’autore «il silenzio dei subordinati occupa uno spazio simbolico fondamentale. La scelta di non parlare è allora da una parte la prova dell’impossibilità reale di comunicare e dall’altra una forma di resistenza».
Nel volume, con maestria, l’autrice cuce una fitta rete di rimandi, simbolici, sociologici, letterari, tra il testo preso in esame, la situazione delle badanti e “tate”(queste ultime provenienti soprattutto dalla Costa d’Avorio) nella città di Parigi, dove si è svolta la sua ricerca sul campo, il tutto nella cornice di studi di genere e di consapevole approccio femminista, che offrono un taglio interpretativo peculiare: Hannah Arendt, Adriana Cavarero, Luisa Muraro, Bia Sarasini, Hélène Cixous, Iris Murdoch e altre sono chiamate a sostenere la complessa analisi socio-letteraria di Laura Marzi, per offrire ai lettori un percorso non facile ma originale e molto utile per esplorare e comprendere «l’inquietante familiarità di una lavoratrice di cura».
Nota di lettura di Tiziana Colusso