C’è sempre una distanza siderale che la poesia riesce a colmare: quando il vuoto, la mancanza di voce, il senso corporeo della presenza, prendono il largo, resta la parola, viva, asfissiante, lucente. La poesia ha la grande forza di saper nominare l’esistenza e, ingaggiando un gioco di forze col vivere, supera la vita stessa, lasciando la grazia di un tono limpido. Lorenzo Pataro è questo tono limpido. Un tono mai egoico, capace di cogliere l’ogni tempo, l’ogni luogo e di trasferirlo nel mistero di una natura che si compone con l’uomo e lo rende lucente. Oggi, per natura, Lorenzo non c’è più, tranciato come lo sparviero che giunge, ferisce e disorienta. Da oggi, a maggior ragione, Lorenzo sarà sempre un tono più in là, abitante del mondo in cui il vivere si fa più intenso, in cui la logica del sentire diviene la docile crudezza di non mentirsi, di guardare all’inarcante segno di chi ha colto il segreto del dirsi, ad amuleto.
Resta, per chi non lo ha conosciuto di persona, una traccia, un altro corpo vivente nella grazia dischiusa del suo fare poesia. Resta il sorriso vigoroso e sobrio, che emerge dai suoi versi radicati e radicali. Resta quella terrosità, mai anacronista; l’attaccamento al simbolo, come emblema di una poesia che non fa barricata, ma tratta l’ancestrale dell’essere al mondo. Oggi, incombe il silenzio. Un silenzio che ha voce più intensa. Un silenzio che ha voce di rami e di rituali per l’ottenimento autonomo di una salvezza.
Oggi, il nostro tempo è più vuoto e più pieno! Oggi il vivere ed il morire si scontrano a vicenda, chiedendoci conto!
Poesie tratte da Amuleti (Ensemble, 2022)
Stella di grafite, ti ho gettato
tra le onde, lieve combustione.
Luce primitiva, fammi iena
fammi aratro, braccato
nella nebbia. Luce-grembo.
Ti ho gettato in tutti i pori
nascita ulteriore, dono dei relitti,
fatica del restauro, sapiente oro.
*
Sentire come allora. Bambini-parco-giochi.
Sentire la vita come allora e in un punto
preciso, dentro al petto. Chiaro nitido
pungente. Accorgersi del noto.
Lo spazio tra le cose, tra il piede che si alza
nella corsa e il piede-ancora che tiene.
Polvere, il radioso nello spazio
tra le dita. Sentire un freddo che è lontano,
acuminato. Universo che semina nel petto
qualcosa di antico e benedetto.
In cerchio si osserva la ferita al ginocchio
del bambino, sangue e pelle, il suo frantumo.
Sentire come allora. Farsi tana e nascondersi
era un modo per lasciare il mondo vuoto, farsi
mondo nel mondo e nascondersi nel vuoto
lasciato dalle cose. Qualcuno ci cercava.
E noi acquattati come i morti. In attesa.
Trattenendo il respiro come loro.
Lorenzo Pataro è nato a Castrovillari nel 1998. È stato ed è poeta (perché la morte non è sparizione) che si è prodigato senza freni per la poesia ed ha saputo sfruttare ogni mezzo ed ogni linguaggio per diffondere le vere storie di un verso. Ha pubblicato due raccolte di poesia, ricevuto diversi riconoscimenti, collaborato con le più importanti riviste di poesia italiane. Ma soprattutto, è una voce chiara, delicata e cruda. Lorenzo – questo certamente – è morto troppo presto, lasciandoci un silenzio più denso, un vigore nello scrivere il mondo assolutamente esemplare.
In anteprima, la foto di Dino Ignani.