Segno grafico e segno che si fa parola. Entrambi raccontano. Il confine tra i due mondi è labile, sottile come carta velina.
Fin da ragazzino disegnavo e scrivevo poesie. Proiettato a lato della realtà comunemente condivisa, abitavo in un mondo auto-creato, solitario cittadino della fantasia e dello studio. Divoravo libri d’arte, eccellevo a scuola, sempre il primo della classe, lettore compulsivo. Niente amici, le scorribande sconfinate del pensiero e lo studio accanito riempivano giorni e notti. Tutto ciò trasudava con regolarità in disegni e scrittura.
L’immagine di me fin qui descritta porterebbe alla considerazione errata di un fanciullo geniale con un pizzico di neurodivergenza se non specificassi l’altra faccia della medaglia, ovvero il fatto che la solitaria dimensione altra (e alta) in cui vivevo mi portò a non poche difficoltà esistenziali. Solo grazie alla maturità lentamente acquisita, oggi posso dirmi un lavoratore finalmente equilibrato, indefesso e meticoloso, fortunatamente ancora zeppo di idee, bravissimo a fingere di essere una persona normale.
La pittura e la poesia che, come anticipato, procedono contaminandosi vicendevolmente, formano il mio intrigo vitale. Praticando tali forme artistiche inseguo il mistero, il mio e quello di tutto ciò che si muove attorno a me. Non è un caso che abbia chiamato l’ultima silloge poetica Il tocco dell’ignoto (peQuod, 2023) e che questo sia anche il titolo di una serie di opere grafico-pittoriche che da anni arricchisco di nuovi esemplari. Si tratta di un percorso mistico, anche se privo di fede in un dio. Il tocco dell’ignoto è qualcosa che mi carezza, producendo un’attenzione risvegliata
Prediligo l’uso della carta, sovrapposta, accartocciata, accostata, disciolta, acquarellata. Non si tratta di collage, ma di materializzazioni che a volte accennano al bassorilievo. Lavoro in tempi lunghi: un colpo di colore, una pausa, l’aggiunta di una carta nuova e un’altra pausa, una sfumatura più marcata e ancora un momento di riflessione. Al termine del processo, quando mi pare che l’opera sia conclusa, la tratto ulteriormente, con un programma di grafica computerizzata. In tal modo risolvo quelle imperfezioni, perlopiù minime, che la mano nuda non potrebbe sanare senza il rischio di compromettere il dipinto originale. Lo stile è decisamente astratto, anche se amo i paesaggi, sempre fantasiosi, anzi, onirici. Spesso traccio forme simboliche, parti di una personale cosmogonia che evoca im-possibili forme dell’ignoto che incombe su di noi.
Riassumendo, potrei parlare di una ricerca basata sulla sana illusione. Quest’ultima non è solo la distorsione di una percezione sensoriale o cognitiva rispetto al modo in cui si è soliti interpretare e organizzare le informazioni ricevute; si tratta di esperienza della mente che si sviluppa al di fuori dell’omologato: è il pensare fuori dal coro Tale atto, ripetuto e rinnovato di giorno in giorno diviene un’ortoprassi, ovvero un modus comportamentale che disegna il cammino di un’agognata perfezione, fascinosa proprio in quanto irraggiungibile.
La realtà ordinaria è diminutio della realtà poetica e solo con quest’ultima mi sembra di arrivare alla vertigine della bellezza, nella scrittura e nel disegno, motori di gioia nella scoperta.
Amo la scienza e la trascendenza, il contatto col passato e lo sguardo nel futuro. Il presente, nella sua effimera istantaneità, è irrilevante. Nel mio lavoro spesso sono accompagnato da “anime aggiunte”, spiritualità di artisti e scrittori, morti o viventi che siano. Attingo alla loro sapienza contemporaneamente allo sviluppo della mia.
Continuamente passo
attraverso due porte
fuori da questo mondo
dentro il mondo futuro
di nuovo fuori e dentro
Ricamo misteri con dita di sogno
immenso arazzo di seta straniera
con fili intrisi di meraviglia
Stefano Iori è nato a Mantova nel 1951. Dal 1979 al 1985 ha svolto un’intensa attività teatrale e televisiva, in Italia e all’estero, come attore e regista. Debuttò come saggista nel 1992, firmando il volume Scritture del teatro (Edizioni Provincia di Mantova). Iscritto all’Albo dei Giornalisti Professionisti, è stato redattore del quotidiano La Voce di Mantova dal 1992 al 1999; ha poi collaborato con altre testate. Si è rivelato al pubblico e alla critica con la filmografia ragionata I Grandi del cinema – Tinto Brass (Gremese Editore, 2000). Ha firmato cinque libri di poesia: Gocce scalze (Albatros Il Filo, 2011); Sottopelle (Kolibris, 2013, con prefazione di Gio Ferri); L’anima aggiunta (Edizioni SEAM, 2014, con prefazione di Beppe Costa e traduzione in inglese a fronte – ristampa per i tipi Pellicano, 2017); Lascia la tua terra – Sinfonia del congedo (Fara Editore, 2017, con note critiche di Flavio Ermini, Gio Ferri, Rosa Pierno, Ida Travi); Il tocco dell’ignoto (peQuod, 2023, con prefazione di Flavio Ermini). Ha inoltre pubblicato il romanzo La giovinezza di Shlomo (Gilgamesh Edizioni, 2015), il saggio Animali fantastici dell’ebraismo, (Terra d’ulivi Edizioni, 2020) e il volume I semi dell’incanto. Racconti 1972–2020 (Gilgamesh Edizioni, 2021). È direttore responsabile della rivista letteraria Menabò, nonché direttore artistico del Festival Mantova Poesia. Coordina il Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio. È curatore della collana Pensiero Poetico edita da Terra d’ulivi. Sue poesie sono state tradotte in romeno, polacco, spagnolo, catalano, inglese, lituano. In collaborazione con artisti italiani e stranieri realizza libri d’artista. È studioso di cultura ebraica.
Altre info: www.stefanoiori.it